La mia infanzia
Molti di voi conosceranno il celebre libro: „Il senso di Smilla per la neve.“ Ma sicuramente nessuno conosce : il senso di mia madre per il tempo. La cosa di per se non é grave, è molto piú grave invece, che lo sconosca mia madre e per mancanza di senso del tempo non parlo del fatto di avermi concepito alla veneranda età di 42 anni. Con la conseguenza che scambiavano la mia genitrice dai folti e scompigliati capelli bianchi, i grandi occhialoni da vista e il fisico mingherlino per mia nonna. E io, ogni volta dovevo spiegare che quella non era mia nonna ma mia madre. Spiegazione che aveva sempre come conseguenza la seconda domanda da parte del miei interlocutori:
“Ma allora... quell'altra chi è?“
Dove quell'altra era mia sorella, 16 anni più grande di me che veniva automaticamente scambiata per mia madre. Se poi ci aggiungiamo che mia padre era giá pensionato e ho anche due fratelli piú grandi di me,rispettivamente di 15 e 9 anni e considerate che all'epoca e nel luogo ove sono cresciuto era buona norma sposarsi e avere giá figliato non piú tardi dei 25 anni. Parliamo della città di Palermo dei primi anni 70; allora nota, oltre per certe vicende su cui soprassediamo, anche per il matrimonio riparatore, cioè: quando la lei di turno restava gravida a causa di rapporti prematrimoniali, che all'epoca erano rigorosamente senza precauzioni, le due rispettive famiglie correvano ai ripari organizzando le nozze dei due giovani prossimi a diventare genitori, senza però menzionare il vero motivo per salvare la purezza prematrimoniale e solo successivamente al connubio la coppia rendeva pubblico il concepimento ma dichiarando che era conseguenza della prima notte da coniugi, salvo poi scoprire che il figlio nasceva ben prima dei canonici 9 mesi.
Vi renderete conto quindi che il mio era un caso umano molto particolare e solo per questo mio status familiare avrei dovuto ottenere un buono omaggio di cento sedute di psicoterapia infantile gratis.
Ma come dicevo, la cognizione temporale di cui è carente mia madre, non è lo scorreve via della vita con conseguente invecchiamento ma è proprio l'incensante e scandito passare dei secondi, nonché dei minuti e perfino delle ore. Se questo lo associate ad un'incapacità organizzativa degli eventi giornalieri, aggiungete poi, anche il fatto che aveva sulle spalle pure tutta la mole di lavoro che comporta una famiglia di 4 figli che in casa non muovono un solo dito e un marito che ogni volta che gli si chiedeva di fare qualcosa rispondeva con la stessa frase:
“Ma io mi rompo il culo tutto il giorno a lavorare per mantenere la famiglia!”
Che tradotto per voi poveri mortali ignari del linguaggio paterno, significa: che esssendo lui quello che guadagnava il pane per l'intera famiglia, si avvaleva del diritto di non fare nient'altro. E come giá precisato il pater familie di cui sopra, non andava a lavoro inquanto pensionato. Difatto, l'unico modo in cui riusciva a rompersi la sua parte piú nobile, era quello di tenerla sempre inchiodata alla poltrona. Tanto che a tutt'oggi la scienza non é ancora riuscita a trovare la linea di confine dove finisce la poltrona e inizia la sua parte anatomica dove non batte mai il sole. Evento questo che ha portato la medicina moderna, oltre a riconoscere in alcuni individui in avanzata etá, l'infermità senile, a riscontrare in lui l'infermitá “sedile”.
Io personalmente devo ringraziare l'esistenza di questa figura mitogica metà uomo e metà mobilio da salotto nella mia vita se adesso possiedo grandi doti di sarcasmo e ironia. Infatti, quando da bambino, parlavo con i miei compagnetti di gioco dei padri, loro parlavano del proprio usando aggettivi come: forte, coraggioso, ecc. e quando chiedevano come era il mio, io rispondevo:
“Mio padre? Ehm...ecco...mio padre è un mito, si, esattamente mitico!”
Senza sottolineare che per mitico intendevo una figura mitologica.
E sempre grazie a mio padre, ho subito il mio primo trauma infantile legato al sesso; infatti appena sono entrato a conoscenza delle basi in materia e con tre fratelli già adulti la cosa è avvenuta già in tenera etá, ho collegato il fatto di vedere mio padre a casa da quando mi svegliavo al mattino fino a quando non andavo a dormire la sera al fatto che guadagnasse il pane per la famiglia rompendosi l'osso sacro. Cosí la mia giovane e ingenua mente ha elaborato che il suo lavoro doveva avvenire per forza durante le ore notturne e tenendo conto che era qualcosa come diceva lui, che gli rovinava il posteriore mi è sorto il dubbio atroce che fosse una pratica non tropoo accettata dalla buoncostume. Fortuna che poi ho scoperto che non era cosí che procurava il pane alla famiglia.
Approposito di pane,
La mia famiglia era talmente povera, che quando passavano i volontari per la raccolta degli alimenti da spedire ai bambini del terzo mondo, dai vicini suonavano e ritiravano il pacco, quando bussavano alla porta di casa mia e gli aprivamo, si guardavano tra loro con aria imbarazzata e senza riuscire a spiccicare una parola alla fine ci passavano le buste della spesa raccolte e ci mettevano una mano sulla spalla in segno d'incoraggiamento a non mollare mai.
E finchè erano alimenti li accettavo senza remora, il mio vero incubo era infatti la donazione di vestiti. Quando questa avveniva, la prima cosa che controllavo era se c'erano pantaloni della mia misura, non perché non volessi un paio di calzoni usati, il problema era la loro lunghezza e mia madre doveva accorciarmeli e quindi prendermi l'orlo. Me li faceva indossare nella mia cameretta e poi tornando in soggiorno e guardandomi aggiungeva: “E ma li devo vedere con un paio di scarpe. Vatti a mettere un paio di scarpe!”
E io tornavo in stanza a calzare pedalini di spugna e scarpe da ginnastica e tornavo da lei. E mia madre:”No! Devi indossare scarpe normali!”
E io tornavo in stanza e via le scarpe sportive sostituite dai mocassini e poi di nuovo dai mia madre. E lei:”No! Li devi indsossare con scarpe coi lacci”
E io di nuovo in camera a stostituire i mocassini con scarpe con stringhe e poi di nuovo da lei. E mia madre: “Si va beh, ma che indossi scarpe eleganti con calze di spugna? Ci vogliono calzette normali altrimenti fanno strani rigonfiamenti!”
E io che già odiavo il corridoio per quante volte lo avevo percorso, tornavo in stanza, via tutto e si ritorna solo con normalissime calze e scarpe laccio-munite. A quel punto, mia madre guardandomi con sufficienza commentava:”Ma queste calze sono bruttissime accoppiate con queste scarpe!”
Quello era il momento in cui scattava in me un sistema di autodifesa pre la salvaguardia mentale, perchè se avessi percorso un'altra volta il tragitto verso la mia stanza avrei avuto seri problemi al sistema neurologico per tutta la vita e cominciavo a gridare che ero stufo e che non importava dell'abbinamento cromatico scarpa-pedalino perchè non dovevo andare da nessuna parte. E mia madre sbottava gridandomi: “Ma come ti permetti di parlarmi in questo modo così cafone! Questa è l'educazione che ti ho insegnato? Invece di ringraziarmi per tutto quello che sto facendo per te togliendo tempo prezioso agli altri figli!”
E giù anche qualche scappellotto da parte della restante prole chiamata in causa dall'arringa difensiva di mia madre che dava piú enfasi drammatica alla sua posizione di vittima sacrificale da parte del figlio snaturato mentre i restanti pargoli giacevano sul divano in una logorante attesa per altri servigi materni, quindi chiamati in causa nel processo come parte lesa.
Ma io subivo in silenzio perchè sapevo che questa tragedia greca o visto la protagonista la dovrei definire: scena madre, mi avrebbe concesso la grazia e finalmente smettevo di esserre uno yo-yo tra la mia stanza e il soggiorno e mia madre avrebbe iniziato a prendere le misure dell'orlo pungendomi ogni tanto per vendetta all'atto di ribellione.
Ma non avevamo ancora finito con i pantaloni, neanche per sogno; eravamo solo all'inizio, perchè dopo aver preso la misura, inizia il vero e proprio show: mia madre per vedere se l'orlo era all'altezza giusta, mi chiedeva di: sedermi, alzarmi, sedermi e rialzarmi con movimenti differenti, fare dei movimenti articolati e innaturali con le gambe, perfino di approntare alcune mosse di karate e di assumere la posizione yoga dell'uovo appena schiuso e naturalmente di camminare, in avanti, lateralmente, fare finte e dribbling alla Pelè e di camminare indietro per mettere in evidenza la parte posteriore dell'orlo. Infatti credo che il moon-walking di Michael Jackson sia nato con l'acquisto del mio primo paio di pantaloni a cui doveva casualmente essere presente un coreografo della celebre pop-star.
Ma in assoluto il trauma infantile più grande è stato il mio primo giorno di scuola. Voi penserete per causa del distacco dalla madre. Ma quando mai. Con una famiglia così, io bramavo ogni giorno della mia infanzia di arrivare finalmente al momento in cui avrei passato le mie mattine lontano da loro. Infatti, il problema di andare a scuola non é stato tanto che è avvenuto, ma come è accaduto. A parte il fatto che già l'estate antecedente il mio primo anno in un istituto scolastico, vedevo gli altri miei coetanei che spesso non giocavano per strada con me come succedeva l'estati prima ma trascorrevano parecchio del loro tempo a stretto contatto con i genitori che li portavano in posti come le cartolibrerie a comprare: cartelle, diari, penne, astucci, quaderni, libri di testo e altro materiale di cancelleria atto a iniziare al meglio l'attività di studi che in futuro avrebbe fruttato un miglior posto nella societá degli adulti, mentre la mia famiglia non si degnava nemmeno di spiegarmi cosa avrei fatto a scuola e se io di mia spontanea iniziativa osavo solo provare a disturbare i miei fratelli a farmi partecipi delle loro esperienze scolastiche, questi iniziavano racconti che in confronto i film di Dario Argento erano fiabe per principessine.
Storie tipo quella che mi hanno raccontato la notte prima del mio primo giorno di scuola; una narrazione contenente insegnanti che sputavano fuoco ad ogni minimo movimento o bisbiglio da parte della scolaresca o che ti attaccavano come belve assassine se tentennavi a dare una risposta durante le interrogazioni e abbondavano in descrizioni di scene dai contenuti violenti che avevano come vittime sacrificali gli scolaretti durante i loro primi giorni di scuola.
Racconti a cui io non facevo troppa fatica a credere visto i metodi educativi utilizzati da mia madre nei miei confronti per prepararmi a essere una persona giusta e misericordiasa nella vita. Quello a cui teneva di piú la mia genitrice era che io non diventassi un violento nei confronti del prossimo e per impartirmi le sue lezioni “ghandiane” mi picchiava ferocemente utilizzando tutti le armi convenzionali di cui una casalinga puó disporre: cominciando dalle semplici mani nude piú taglienti di una mannaia e capaci di attacchi cosí letali che manco Bruce Lee nei suoi films, dalla cucchiaia di legno passando per il battipanni con aggiunta di lancio di zoccoli telecomandati che sembravano godere di vita propria dato che riuscivano a scovarmi e centrarmi sempre anche se io trovavo i rifugi piú impensabili e meno accessibili della casa per tentare di nascondermi. Insomma, pur di plasmare il proprio figlio in un essere pacifico e non violento, si era armata di tutto il necessario per impartirmi un'educazione sana e genuina, mancavano solo: la bomba atomica e l'alabarda spaziale di Goldrake. E la cosa che piú portava mia madre a darmi le sue lezioni di vita da pacifista era quando tornavo a casa con un microscopico livido o un semplice taglietto che lei considerava la conseguenza di un manesco litigio degenerato con un pestaggio in tipico stile bullistico e agressione di massa degno delle piú sanguinarie bands dei ghetti piú oscuri del Bronks. Se considerate che i miei pomeriggi li trascorevo a giocare vivaci partite di pallone sul nudo asfalto delle strade della periferia in cui risiedevo, immaginate quante volte puó essere successo di procurarmi un grosso grasso bollone blu o un taglio stile ferita da veterano del Vietnam. Così quando tornavo a casa consapevole di portare addosso i segni dell'indegno figlio che non applicava la parabola del buon samaritano; dapprima cercavo di evitare in tutti i modi di passare sotto il suo sguardo indagatore a raggi x, vero e prorpio sistema di controllo anti segni ematici che manco negli aeroporti subito dopo un attentato terrostico disponevano. Dopo il vano tentavico provavo con la fuga simulante il vitello in un rodeo che cerca di non farsi abbrancare dal cowboy. Tutto inutile, venivo brutalmente picchiato con metodi cosí poco ortodossi che nemmemo su Giordano Bruno durante la santa inquisizione avrebbe nemmeno lontanamente pensato di usare. Che poi il vero grave problema di questa vicenda, era la non consapevolezza di mia madre nel capire i danni fisici che mi recava in quel momento, tanto da non accorgersi che mi lasciava atri segni ben piú visibili del primo causa scatenante della lezione di self-control non violento. Segni che mia madre notava solo all'indomani del massacro e non accettando la mia spiegazione dell'avvenuto, riteneva che me li fossi procurati per lo stesso motivo che avevano scatenato la carneficina da parte sua nei miei confronti il giorno prima. Così ritornava a darmi la stessa lezione con ripasso rafforzativo dovuto all'aggravante della menzogna con cui cercavo di scagionarmi del mio peccato originale. Questo inescava così un linciaggio giornaliero a circuito chiuso che poteva andare avanti anche per settimane o fino a quando diventavo viola livido in tutto il corpo in maniera omogenea e non si notavano piú i segni, o fino a quando mia madre non aveva più un grammo di energia e diceva: “Quanto mi fanno stancare i miei figli, sono distrutta dalla fatica ma non mi fermerò mai d'impartigli i sani prinpici!”
Di tutto questo, io sono molto grato a mia madre. Non sono ironico, veramente; so che lei sbagliava di brutto nei miei confronti ma sono sicuro che anche se in maniera ingiusta ed esagerata, il suo messaggio era umano e mirato a farmi diventare un uomo giusto e corretto nei confronti del prossimo e io adesso che sono adulto, sono una persona forte ed equilibrata perché lei mi ha impartito i sani principi di cui io ne ho metabolizzato i valori, naturalmente con l'intelligenza e l'esperienza guadagnata nel tempo.
(CONTINUA)