La terra del Simbran

5 cose sul street football

5 COSE  INDIMENTICABILI  CHE  SOLO  CHI  HA  GIOCATO  A  PALLONE  IN  STRADA  PUO CAPIRE


Aspettare che gli amici finivano di guardare il cartone animato preferito e poi scendere a giocare, tutti tranne il vero malato di partite. Lui era già lí che aspettava gli altri calciando una pietra, un lattina vuota o semplicemente l'aria che lo circondava. E se entro dieci minuti non eri presente, allora scattava la riunione generale intorno al tuo citofono con ripetute scampanellate e le urla della folla invocanti la tua presenza fino a quando non comparivi di presenza manco fossi stato la star della squadra.

Super Santos, Tango o pallone “serio”, cambiava poco l'importante era averne uno. Quello che contava davvero era segnare o giocare “da dio” meglio ancora se davanti a un pubblico non pagante e rumoroso. Erano gli anni ’80. L’asfalto infuocato dal caldo. Il grande Milan o il Napoli di Maradona. Andare in bicicletta o correre a piedi piú veloci del vento passandosi la palla fino ad arrivare in quel pezzo di strada dove non ci sono macchine o il marciapiede era largo a sufficienza, sistemare quattro pietre o usare gli elementi naturali presenti nello spazio per fare due porte e si comincia a giocare. Ed erano partite interminabili che finivano solo quando non c’era più luce naturale o quando qualcuno si faceva male. Lividi enormi e ginocchia sbucciate erano all’ordine del giorno come le sgridate della mamma.

E poi c’erano loro, gli amici inseparabili, con cui si litigava di brutto per un passaggio mancato o un fallo o perché la palla era andata troppo alta e senza la traversa non è che potevi saperlo con esattezza. C’era il bomber, che la metteva dentro da ogni posizione; c’era lo Spezzacaviglie che al posto dei piedi aveva il ferro forgiato dagli altiforni, c'era „Puntazza arraggiata“, che calciava solo di punta; c’era il Ciccione di turno, che sistematicamente finiva in porta; c’era quello che non correva e quello che correva per tutti, c'era chi non tornava mai in difesa e chi giocava libero meglio di Baresi e Scirea messi insieme. E c’era quello che si credeva Pelè e in realtà era un pippone clamoroso. C’eravamo noi che non avevamo le casacche dei campioni ma giocavamo a torso nudo o con le magliette economiche che tenevano i colori della fortuna, con le nostre storie e le nostre gioie quotidiane, che rotolavano sistematicamente dietro a un pallone e un unico sogno: giocare nella squadra del cuore.

E ci sono 5 cose indimenticabili che solo chi ha giocato a pallone per strada può capire.

1) La vecchia che minacciava di tagliare il pallone

Figura mitologica tra una strega e la protagonista di un film horror: zitella acida, capelli bianchi, pelle raggrinzita dagli anni, sguardo gelido e tono di voce grave e inquietante, ultrà del religioso silenzio che noi piccoli demoni rumorosi ne primavamo il rione ogni volta che giocavamo. L’incubo peggiore di ogni partita era lei, la vecchia che minacciava di tagliare il pallone. E quando la palla finiva sul suo balcone potevi raccogliere i tuoi stracci e tornartene a casa: la partita era da considerarsi chiusa.

2) Il coraggioso che avrebbe recuperato il pallone anche se fosse finito sulla luna

Chiunque abbia giocato a pallone per strada sa che, spesso e volentieri, la palla finiva in anfratti oscuri e inaccessibili, dove entrare richiedeva una dose di coraggio alla Rambo. Mentre tutti facevano pressione sull'autore del tiro che aveva „arroccato“ il pallone, in quel momento si materializzava lui l’eroe per un istante, di solito uno dei più scarsi che, per recuperare stima e credibilità, si lanciava nell’impresa titanica di riportare la gioia, il pallone, in campo. Ci riusciva ma la sua aura eroica svaniva nel momento stesso in cui la partita ricominciava.

3) Il pubblico non pagante e rumoroso

A inizio partita gli unici presenti erano solo i giocatori che erano quasi sempre troppo pochi e solo dopo aver risolto lo spinoso problema di bilanciare le forze in campo che e s'iniziava l'agognata partita, cominciava ad arrivare ogni sorta di spettatore, di solito: intellettuali no soccer, modaioli trandy con scarpe e pantaloni troppo costosi e rischiare di sporcarli, emarginati sociali, piscialetto e ragazze di eterogenea bellezza. Il pubblico non pagante e rumoroso dava la carica, incitava, insultava e aveva sempre ragione. Come il cliente al bar. Senza pubblico non c’era sfizio. Se poi, tra quelle persone, si nascondeva anche l’amica di cui eri segretamente innamorato allora la partita si trasformava incredibilmente in qualcosa di epico, uno scontro tra te e il mondo in cui trionfare era l’unico modo per guardare quell’amica negli occhi e sperare di ricevere un bacio, uno sguardo d’intesa. Non un abbraccio a fine partita, perché la maglietta madida di sudore e le gambe nere di sporcizia era un repellente per qualsiasi anima femminile.

4) La ragazza che voleva giocare a pallavolo

Nelle comitive c’era sempre una tipa che proponeva di giocare a pallavolo anziché a calcio, perché ogni tanto dovete far contente anche noi, diceva mettendo pressione ai maschietti rammolliti. Era quella di cui i piú accaniti fan delle partite la consideravano una stronza da odiare dal piú profondo del cuore e iniziavano a bestemmiare al solo vederla sopraggiungere da lontano o ne sentivano improvvisamente la voce acuta e stridula minacciando gli altri di non darle corda. Quella stronza, in realtà, era quasi sempre una lontana parente della vecchia strega taglia-palloni. Chi cedeva alle sue lusinghe, e ce n’erano, come i proci attirati da Medusa, non avrebbe mai più fatto parte del dream team e non avrebbe più messo piede in campo.

5) Il pallone è mio e decido io chi gioca

E poi c’era lui, quello del “pallone è mio e decido io chi gioca”, quello che non lo menavi solo perché altrimenti piangendo andava a chiamare la mamma, di solito bona, e che ti incuteva un certo timore reverenziale non solo proprio perché bona ma soprattutto perché era amica intima dei tuoi genitori. Di solito non solo era il più incapace a calcio ma anche il più borioso e antipatico, il riccastro della compagnia. E te lo faceva pesare a ogni occasione. Ma aveva un pallone sceso direttamente dai campi di serie A. E giocare con quello era tutta un’altra storia, ti faceva sentire al pari di Paolo Rossi al Bernabeu nel '82. Allora lo lasciavi giocare qualche minuto, poi si faceva male per uno scontro di gioco “fortuito” e a quel punto iniziava la partita vera.


 

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